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La pioggia nel pineto

2024-02-29 19:21

Simona Gibroni

Poesia, poesia, annunzio, letteratura, pineto, pioggia,

La pioggia nel pineto

Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo parole più nuove che parlano gocciole e foglie lontane.

Leggo e scrivo poesie perché mi piacciono, tuttavia, non posso dire di essere una persona che ha fatto delle poesie e della letteratura una dipendenza e nemmeno una passione. Non conosco poesie a memoria e quelle che ho scritto non contengono tecnica o rigidità culturali. 


Non ricordo i nomi dei poeti e spesso confondo le loro opere. Non mi distinguo per un sapere oltre alla norma, e forse nemmeno per una cultura letteraria di base.


So solo che libri, manoscritti, racconti e poesie hanno un fascino particolare e io ne subisco gli effetti.


E poi, ci sono opere che mi emozionano, che catturano la mia attenzione e forse sfiorano la mia essenza, La pioggia nel pineto di Gabriele D’Annunzio è una di quelle.


La pioggia nel pineto

Taci. Su le soglie



del bosco non odo



parole che dici



umane; ma odo



parole più nuove



che parlano gocciole e foglie



lontane.



Ascolta. Piove



dalle nuvole sparse.



Piove su le tamerici



salmastre ed arse,



piove sui pini



scagliosi ed irti,



piove su i mirti



divini,



su le ginestre fulgenti



di fiori accolti,



su i ginepri folti



di coccole aulenti,



piove su i nostri volti



silvani,



piove su le nostre mani



ignude,



su i nostri vestimenti



leggeri,



su i freschi pensieri



che l'anima schiude



novella,



su la favola bella



che ieri



t'illuse, che oggi m'illude,



o Ermione.




Odi? La pioggia cade



su la solitaria



verdura



con un crepitio che dura



e varia nell'aria secondo le fronde



più rade, men rade.



Ascolta. Risponde



al pianto il canto



delle cicale



che il pianto australe



non impaura,



né il ciel cinerino.



E il pino



ha un suono, e il mirto



altro suono, e il ginepro



altro ancora, stromenti



diversi



sotto innumerevoli dita.



E immensi



noi siam nello spirito



silvestre,



d'arborea vita viventi;



e il tuo volto ebro



è molle di pioggia



come una foglia,



e le tue chiome



auliscono come



le chiare ginestre,



o creatura terrestre



che hai nome



Ermione.




Ascolta, Ascolta. L'accordo



delle aeree cicale



a poco a poco



più sordo



si fa sotto il pianto



che cresce;



ma un canto vi si mesce



più roco



che di laggiù sale,



dall'umida ombra remota.



Più sordo e più fioco



s'allenta, si spegne.



Sola una nota



ancor trema, si spegne,



risorge, trema, si spegne.



Non s'ode su tutta la fronda



crosciare



l'argentea pioggia



che monda,



il croscio che varia



secondo la fronda



più folta, men folta.



Ascolta.



La figlia dell'aria



è muta: ma la figlia



del limo lontana,



la rana,



canta nell'ombra più fonda,



chi sa dove, chi sa dove!



E piove su le tue ciglia,



Ermione.




Piove su le tue ciglia nere



sì che par tu pianga



ma di piacere; non bianca



ma quasi fatta virente,



par da scorza tu esca.



E tutta la vita è in noi fresca



aulente,



il cuor nel petto è come pesca



intatta,



tra le palpebre gli occhi



son come polle tra l'erbe,



i denti negli alveoli



son come mandorle acerbe.



E andiam di fratta in fratta,



or congiunti or disciolti



(e il verde vigor rude



ci allaccia i melleoli



c'intrica i ginocchi)



chi sa dove, chi sa dove!



E piove su i nostri volti



silvani,



piove su le nostre mani



ignude,



su i nostri vestimenti



leggeri,



su i freschi pensieri



che l'anima schiude



novella,



su la favola bella



che ieri



m'illuse, che oggi t'illude,



o Ermione.



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